Share This Post

Riprendo il viaggio in questo splendido territorio della Magna Grecia, tra storia, sapori, paesaggi, chef emergenti, tradizioni e nuovi produttori partendo da “Le Castella” (KR), nota meta turistica estiva, per il suo splendido mare e per lo scenografico castello aragonese che troneggia su un piccolo promontorio roccioso, rendendo il castello come sospeso in mare.
Per ritornare sulle tracce storiche di questi luoghi lanciate nell’articolo precedente, sembra che l’isola di Calypso descritta da Omero sia da collocarsi da queste parti.

Lascio la costa ionica per raggiungere il fresco tra le alture della Sila. Fa sempre un po’ strano trovare un paesaggio svizzero con le conifere d’altura nel profondo Sud dello stivale. Mi arrampico sui circa 1350 m s.l.m. percorrendo una piacevole stradina di montagna per approdare poi, secondo l’itinerario che mi ero prefissato, a San Giovanni in Fiore; con l’intendo di andare a curiosare tra le portate del ristorante “Biafora“, dove lo stellato Antonio Biafora, giovane emergente chef di S.Giovanni in Fiore approfitta della ricca dotazione dei profumi della Sila per proporre una delicata e bilanciata cucina, da provare assolutamente. Tento quindi disperatamente di riservare un tavolo all’ultimo momento ma purtroppo in quel periodo erano in ristrutturazione, ricalibro la rotta puntando la prua del “GranDucato di VAN-eggio” verso “Lorica” dove avevo altre ricette tipiche della zona da rispolverare, scelgo il ristorante “Lupus in Fabula“, tra l’altro segnalatemi dallo stesso “Biafora” come alternativa (bravi, sinergia sempre, concorrenza mai).

La cucina di “Lupus in Fabula” è una genuina cucina del territorio, che rispetta le preziose materie prime della zona senza stravolgere la tradizione ma lavorando con tecniche attuali; il risultato è buono e l’equilibrio tra qualità e prezzo è ottimo. Il formaggio alla piastra con funghi porcini è un tipico piatto silano che consumo sempre con piacere tutte quelle rarissime volte che passo da queste stupende montagne (ci mancavo da 20 anni!), così come le patate “mpacchiuse” (appiccicate) altra tipica ricetta locale riproposte un po’ ovunque in tutta la provincia. Le famose patate della Sila, coltivate sull’altopiano silano, sono tra le più buone che abbia mai provato, senza nulla togliere alla sublime varietà “Macchiola” di Arcidosso (GR), diciamo che se la giocano alla pari ma di interesse gastronomico ci sono anche le varietà di patate “irene, agata e desiree” altrettanto meritevoli.
Devo un enorme ringraziamento al cordiale servizio di “Lupus in Fabula” per avermi fatto conoscere e suggerito il più buono “Magliocco” in purezza assaggiato finora, cantina Serracavallo, rosso “Quattro Lustri”, un rosso intenso con tannini morbidi, rotondo, profondo e speziato, perfetto in abbinamento con la cucina locale, soprattutto con quelle costolette. Bravi, ottima vinificazione! Se lo bevi ad occhi chiusi i profumi ti riportano in Calabria.

Riprendo strada dopo una bella dormita al fresco per visitare il “Centro Visite Cupone del corpo forestale della Sila” e respirare un po’ di aria pura, sembra che l’aria della Sila sia tra le più pulite d’Europa. Ritorno poi sulla costa tirrenica dove avevo appuntamento per una vendemmia con amici.

Dalla costa tirrenica cosentina tra Amantea, Belmonte Calabro e Longobardi inizio un tour verso la provincia di Reggio Calabria, la punta dell’italico stivale “Terra di Sud, Terra di Confine, Terra di dove finisce la Terra” <Vinicio Capossela>. La prima delle tappe, dopo Amantea (CS) dove faccio rifornimento dei famosi pomodori di Belmonte Calabro e dei primi funghi porcini calabresi (per me i migliori in assoluto come profumo), parto per la prima tappa nel reggino verso Scilla, per proseguire sempre più a sud verso Pentedattilo.

Arrivo a Pentedattilo nel pomeriggio e godo della luce fino quasi al tramonto, in questo borgo abbandonato nel 1783 a seguito di un forte terremoto che distrusse il castello e gran parte delle abitazioni, vivono tutt’ora in pianta stabile solo due persone (una è ultranovantenne). Il sito raccoglie molto turismo specialmente nel periodo estivo e sono con gli anni sorte diverse attività culturali e sociali, nonché qualche piccola attività turistica. Negli anni ’80 è stato popolato da diversi artisti ed in qualche modo è rimasto un certo “fermento” tra coloro che tentano di mantenere vivo il borgo.
Se volete approfondire riguardo le origini del paese qui c’è un’intervista ben dettagliata sul percorso storico dalle sue origini ad oggi, del nostro amico giornalista Lorenzo Scaraggi a Pasquale Flachi, durante il suo percorso “Lungomare Italia“, dove ho avuto anche io il piacere di accodarmi in più occasioni.

Lascio Pentedattilo per arrivare all’imbrunire a Bova superiore, una strada impegnativa da fare in camper (scordatevela se non avete un camper puro furgonato), consiglio quella più lunga ma meno ripida.

Bova mi ha piacevolmente sorpreso sia per la bellezza paesaggistica che per le iniziative culturali; le origini del borgo sono antichissime e risalgono al IV millennio a.c., periodo identificato nel ritrovamento di schegge di ossidiana nel perimetro del castello, un tempo commercializzata con le vicine popolazioni delle isole Eolie. L’arrivo dei greci ha poi assorbito culturalmente le popolazioni preesistenti che si sono susseguiti nella zona. Dovete sapere che qui nella zona si parla ancora il greco arcaico, non quello moderno e come per i paesi frontalieri che hanno le insegne in pseudo austriaco/tedesco qui le targhe in marmo sono in greco antico, perché anche questo è un posto di frontiera e lo era soprattutto quando il mediterraneo era l’autostrada ed il crocevia di scambio delle culture.

Dopo aver parcheggiato nella piazza centrale, dove ho tranquillamente passato la notte, sono subito andato ad assaggiare la “Lestopitta” una ricetta di origini greche. La lestopitta da “leptos” (sottile) e “pita” (pane), preparato nel piccolo borgo vecchio sulla piazza centrale, viene poi farcito con quanto di buono il territorio calabrese ha da offrire, un connubio di sapori genuini insomma, si tratta di un semplice impasto di acqua e farina (qui poi ogni piccolo centro ha la sua particolare ricetta di farine tipiche nella dovuta proporzione) non lievitato e fritto olio bollente, la farcitura è anarchia assoluta ma possiamo dare più o meno delle direttrici sommarie comuni un po’ ovunque nel territorio e si va dai formaggi locali e salumi, peperonata o parmigiana di melanzane. Le versioni dolci vanno dal miele alla nutella.

Adiacente la piazzetta centrale c’è un largo con una enorme locomotiva a vapore che, dopo l’impegnativa salita in camper ti chiedi: “ma come hanno fatto a far salire fino a circa 1000 metri s.l.m senza le rotaie di una ferrovia, una bestia da 60 tonnellate come questa?” Gli abitanti mi raccontarono che fu portata li nel 1987, sul dorso di un trasporto che veniva trainato e spinto da due grossi camion, in parte smontata e assemblata nuovamente in piazza; alcune parti della vecchia strada sono state allargate per far passare il “740.054“, questo è il numero di matricola del mostro meccanico. La prima domanda è: “perché“? Al contrario di quanto si possa immaginare le ragioni riguardano l’incredibile e costante spopolamento del paese dal dopoguerra ad oggi, il treno rappresenta il mezzo attraverso il quale gli abitanti sono emigrati e le famiglie si sono divise, un monumento all’emigrante e all’emigrazione del Sud. Oggi Bova consta di circa 400 abitanti residenti, un tempo era un fiorente paese. 

https://it.wikipedia.org/wiki/Bova_(Italia)

Per non farmi mancare nulla la sera ho assistito ad una fantastica rappresentazione di “Nando Brusco“, uno degli ultimi cantastorie, che conosco da anni e che per caso passava da Bova, VAN-eggianti coincidenze!

Termina qui il mio peregrinare nella Magna Grecia Calabra, ci sarebbe ancora da dire ma dedicherò un articolo proprio per quella lavorazione che è unica al mondo: sua maestà il bergamotto.

Grazie per essere saliti a bordo – Buona strada e buon gusto a tutti
VANeggio

Share This Post